Le ambiguità dell Europa nella sfida alla Cina
Focus economia - A podcast by Radio 24
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Nella giornata di martedì, in attesa dell'arrivo del presidente Sergio Mattarella in Cina a Pechino, l'Accademia delle Scienze Sociali ha organizzato una riunione a porte chiuse fra un ristretto numero di economisti italiani e accademici cinesi sulla cooperazione Cina-Italia nel contesto del ventesimo anniversario dell'istituzione del Partenariato strategico globale. Incontro a cui ha partecipato l'ex ministro tecnico all'Istruzione del governo Draghi, Patrizio Bianchi.È stata l'occasione, come ha raccontato lo stesso Bianchi ieri su Il Sole 24 Ore, per fare il punto su un'economia mondiale in panne e contestualmente su un Europa che oggi sembra incapace di esprimere una linea chiara sul suo futuro e sul futuro dell economia mondiale. L economia cinese si sta trasformando profondamente, per andare oltre quel modello export-led, che ha garantito gli eccezionali ritmi di crescita fin dall entrata della Repubblica Popolare nel World Trade Organization nel dicembre 2001. Questa crescita, senza precedenti, è stata dovuta da una parte all attrazione di capitali stranieri per produzioni di «buona qualità» da re-esportare, e d altra parte ad una manodopera ben qualificata , ma disponibile a costi ben inferiori ai paesi occidentali.Dopo la crisi globale del 2008, che del resto ha visto l arenarsi dell economia europea in un up-and-down, da cui non sembra poter evadere, la Cina ha avviato una vasta azione politica, che ha portato per un verso alla creazione e consolidamento di una classe media, che avrebbe dovuto sostenere l economia cinese verso un modello demand-push- cioè trainato da una crescente domanda interna. D altra parte il nuovo indirizzo della politica cinese era volto a spingere le esportazioni verso più alti livelli di qualità, centrati su più investimenti in ricerca e produzione nei settori high-tech della decarbonizzazione e della digitalizzazione, che sono del resto i due pilastri del Rapporto.L’intervento di Patrizio Bianchi, Professore Emerito di Economia, Cattedra Unesco "Educazione, Crescita e Uguaglianza", Università degli Studi di Ferrara, ai microfoni di Sebastiano Barisoni.Dazi Trump, in gioco 50 miliardi di avanzo commerciale con gli UsaIl governo italiano dopo la vittoria di Donald Trump si è affrettato a rassicurare che con gli "Stati Uniti sia possibile raggiungere il più alto livello di intesa come sempre è accaduto, questo perché non va guardato soltanto l'aspetto daziario che è importante e significativo, ma anche quello che per esempio può derivarne, ad esempio l'aumento del valore del dollaro rispetto all'euro" come ha fatto questa mattina il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso intervistato al microfono di Simone Spetia durante 24 Mattino. Intanto però in un editoriale pubblicato oggi sul Sole 24 Ore oggi il professor Stefano Manzocchi ha ricordato che più della metà del surplus commerciale italiano del 2023, al netto delle importazioni per l'energia, è relativo agli scambi con gli Stati Uniti. Si tratta di oltre 50 miliardi di avanzo commerciale riferiti al solo sistema manifatturiero, l'equivalente del prodotto lordo di una media regione italiana come la Liguria. Non solo. Negli Stati Uniti sono attivi quasi 2000 investitori industriali italiani che hanno quote di partecipazione in oltre 3.500 imprese negli Usa - di cui oltre 3.000 partecipazioni di controllo - con 260.000 posti di lavoro e un fatturato di 150 miliardi di dollari.Come sappiamo, il nostro Paese non ha negli investimenti internazionali la stessa posizione di preminenza che mantiene negli scambi commerciali, ma negli ultimi anni le imprese italiane hanno saputo intercettare il vento dei mutamenti geopolitici che peggioravano le prospettive di affari in Russia, Cina, Medio Oriente, e hanno puntato forte sul mercato Usa più che nel passato. Ed ora, con Trump di nuovo al timone, cosa aspettarsi?Il commento a Focus Economia di Stefano Manzocchi, Prorettore alla ricerca Università Luiss e Ordinario di Economia internazionale, editorialista de Il Sole 24 Ore.Germania, il semaforo si è spento: governo nel caosIl cancelliere Olaf Scholz ha licenziato il ministro delle Finanze Christian Lindner, in un avvitamento senza ritorno della crisi della coalizione di Governo tra Spd, Verdi e Liberali. Impossibile trovare un compromesso per superare le spaccature sulla politica economica, con il Paese che viaggia sull orlo della recessione per il secondo anno consecutivo. Il socialdemocratico Scholz si sottoporrà a un voto di fiducia a metà gennaio, passaggio che potrebbe far scattare nuove elezioni a marzo.Durissime le parole su Lindner: «Chiunque entra a far parte di un Governo - ha detto Scholz in conferenza stampa il 6 novembre - deve agire in modo serio e responsabile e deve essere pronto a scendere a compromessi nell interesse di tutti i cittadini. Ma a Christian Lindner importa la sopravvivenza a breve termine del suo partito». E ancora: «Non esiste alcuna base di fiducia per un ulteriore cooperazione».La crisi politica esplode all indomani della vittoria di Donald Trump nelle presidenziali Usa: i dazi che minaccia di adottare sono un rischio in più per un economia fortemente orientata all export come quella tedesca. E arriva nel mezzo dello scontro tra i sindacati e una delle industrie simbolo del Paese, la Volkswagen, che minaccia di chiudere stabilimenti in patria, per la prima volta nella sua storia.Il 7 novembre, il ministro dei Trasporti, il liberale Volker Wissing, che aveva chiesto a Lindner di non rompere, ha deciso di lasciare il partito e restare in carica nel Governo Scholz, segnalando una frattura anche all interno della Fdp.L’intervento di Gianluca Di Donfrancesco, il Sole 24 Ore