A CASA di DAVIDE CALABRIA

Cronache Stories - A podcast by Cronache di spogliatoio - Lunedì

⭕ A CASA di DAVIDE CALABRIA ⭕  «Colazione e pranzi obbligatori a Milanello. Sempre stato così. Almeno da quando c’è Pioli quindi più o meno dall’inizio del Covid». Hai sempre sognato Milanello?  «Assolutamente sì, son cresciuto lì. Facendo tutta la trafila il mio sogno era arrivare lì, poi magari non pensavo di restarci così a lungo, anche se era un obiettivo. Poi è venuto tutto da sé. È stato una cosa bellissima, in famiglia a parte papà tutti milanisti, anche i miei amici. Era destino. Tante foto con la maglia del Milan anche prima che ci giocassi quindi era un obiettivo». C’erano altre squadre su di te oltre al Milan? «Sì c’era il Brescia ma ero troppo piccolo, mia mamma mi disse che era presto per andare lì, ma sono arrivati solo per primi. Anche l’Atalanta un anno prima del Milan, ma io ho scelto subito il Milan. A ripensarci per i miei era il doppio della distanza. La difficoltà era più alta. Io vivo tra Brescia e Bergamo quindi era più comodo, arrivare a Milano era più complicato, ma la fede milanista in famiglia ci ha portato a questo».  Com’era andare a scuola con la tuta del Milan già da piccolo? Che tipo eri a scuola? «Mi piaceva divertirmi, ero un ragazzo molto attivo sempre. Non mi è mai piaciuto andare a scuola vestito da Milan, a meno che non fossi obbligato. Non volevo, già da piccolo, far vedere questa cosa perché non fa parte del mio carattere, cercavo di rimanere nelle mie. Tanti miei amici lo facevano, a me non interessava più di tanto, ma era una cosa da vantarsi, una cosa bellissima. Anche con i miei amici già a 11 anni era difficile. Fare avanti e indietro non è stato semplicissimo perché comunque tante ore lontano da casa era tosta. I primi due anni volevo andare via già io perché era difficile per un bambino. Facevo il tragitto casa-Milano con i ragazzi più grandi della Primavera e facevo fatica sinceramente. Poi i miei mi hanno detto di provare, continuare ed è andato tutto bene fortunatamente». Com’era il viaggio, come arrivavi a Milano?  «Ho cambiato due scuole all’inizio per essere ancora più comodo. Andavo verso Brescia, per poi tornare a Milano. Veniva mia mamma dopo lavoro, lei usciva prima da lavoro, veniva a prendermi, mangiavo in macchina un piatto freddo: pasta, panino o quello che era e mi portava a Bergamo, a Dalmine per poi andare a Vismara. La rottura era più per mamma che per me, è ovvio che mangiare in macchina non era bellissimo, però per qualche anno era così. I pranzi erano spuntini in macchina ed arrivare a casa alle 20. Era più un sacrificio per mia mamma che per me perché non navigavamo nell’oro e il tempo e il denaro investito era tanto».