L’Annunciazione del Beato Angelico
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Versione audio: Il pittore fiorentino Guido di Pietro (1400 ca.-1455) fu prima di tutto un monaco. Entrato nell’ordine domenicano dopo il 1418, scelse di farsi chiamare Fra’ Giovanni. Ma oggi è noto come Beato Angelico. Divenuto “Angelico” già dalla metà del Quattrocento (era infatti definito angelicus pictor), fu presto promosso, a furor di popolo, “Beato” sia per l’intensa religiosità delle sue opere sia per le sue qualità umane. «Uomo di santissima vita», come lo ricorda Vasari, è stato poi effettivamente beatificato nel 1984 da papa Giovanni Paolo II. Angelico non è stato l’unico artista frate della storia dell’arte; basti ricordare, per citarne uno solo, il carmelitano Filippo Lippi. Solo che, a differenza di tanti pittori monaci, e di Lippi in particolare, Angelico non fu un pittore in abito talare ma un sacerdote dotato di un’autentica, profondissima vocazione religiosa, il quale concepì la pittura come forma della sua vocazione. I domenicani erano predicatori: Angelico raccontò, attraverso le immagini, l’esperienza del suo rapporto con Cristo. Scrive Vasari: «Dicono alcuni che fra Giovanni non avrebbe preso i pennelli se prima non arebbe fatto orazione. Non fece mai Crocifisso, che e’ non si bagnasse le gote di lagrime». La pittura di Angelico La formazione artistica di Beato Angelico si svolse a Firenze, in ambito tardogotico, e il suo esordio avvenne come pittore di miniature. È bene tenerlo a mente, per comprendere meglio il carattere particolare della sua pittura: lo stile perfetto e meticoloso, i colori accesi, la luce fortissima che annulla le ombre, l’accentuato misticismo delle sue scene sacre sono tutti elementi che rimandano all’arte antica della miniatura. Da buon religioso, Angelico non volle mai rinnegare i più importanti valori artistici medievali, primo fra tutti la funzione didattica della pittura; tuttavia, egli volle che le sue opere aderissero pienamente al nuovo indirizzo rinascimentale, e per questo motivo studiò attentamente i capolavori di Masaccio ricavandone i segreti della prospettiva. A San Marco Le opere migliori di Beato Angelico furono realizzate, fra il 1438 e il 1447, nel Convento di San Marco a Firenze. Qui Angelico dipinse per prima la pala dell’altare maggiore; in seguito, a partire dal 1440 circa, realizzò una serie di oltre cinquanta affreschi: una grande crocifissione nella sala capitolare, un’altra crocifissione nel refettorio e decine di scene nel chiostro, nei corridoi e nelle celle dei confratelli (tra cui l’Annunciazione, la Trasfigurazione, l’Incoronazione della Vergine). Si tratta della più estesa decorazione pittorica mai concepita fino ad allora per un convento. Gli episodi sono rappresentati con uno stile sobrio, come si conveniva a un ambiente monastico. Essi non sono particolarmente drammatici, utilizzano una semplice simbologia e non hanno alcuna funzione decorativa, poiché il loro scopo era essenzialmente quello di fornire ai frati temi sui quali meditare. L’Annunciazione del corridoio nord L’Annunciazione, realizzata nel corridoio nord delle celle, è uno dei più celebri brani pittorici dell’artista: l’episodio è ambientato in una loggia, vista in prospettiva e completamente intonacata di bianco. Non vi sono arredi, ad eccezione di un semplice sgabello; la Vergine è una fanciulla vestita da un abito modesto (che ricorda la veste domenicana) e l’Arcangelo Gabriele ostenta due belle ali con piume di pavone, dipinte con i colori dell’arcobaleno. L’artista, infatti, scelse di mantenere l’antica iconografia angelica, risalente alla fine del XIII secolo, in cui compaiono elementi del pavone, simbolo della sapienza divina, e dell’arcobaleno, simbolo della presenza di Dio fra gli uomini: con le loro ali multicolore, gli angeli testimoniano la rinnovata alleanza fra Dio e l’umanità. Gabriele ha appena pronunciato l’annuncio e resta trepidante in attesa di una risposta. Maria, umile e obbediente,