La città medievale. Prima parte

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Versione audio: Tracciare una storia della città medievale è operazione complessa che richiede una necessaria semplificazione. Innanzi tutto, dobbiamo ricordare che ancora nel V secolo d.C. non tutta l’Europa era urbanizzata: in età imperiale, infatti, i Romani avevano fondato i loro centri sostanzialmente solo nella penisola italica, nella penisola iberica, nella Gallia fino al Reno, nella Dalmazia, nel meridione delle Isole Britanniche. I territori dell’Europa settentrionale, centrale e orientale avrebbero dovuto attendere ancora qualche secolo prima di vedere sorgere città degne di questo nome. In secondo luogo, sappiamo bene che la storia della città si è profondamente differenziata nelle diverse aree europee. Ciò premesso, è possibile sia indicare i momenti salienti di tale storia, sia individuare esempi specifici da offrire come modelli generali di riferimento. Le città barbariche Gli ultimi secoli dell’Impero romano d’Occidente furono certamente segnati da una progressiva decadenza che, senza dubbio, anche le invasioni barbariche contribuirono ad accentuare. Ma sarebbe un errore affermare che l’arrivo dei Germani in Europa incise di per sé sul sistema economico romano, trasformandolo in rurale. I barbari, infatti, si cristianizzarono e si urbanizzarono, e volentieri. La loro pretesa avversione per la città è un luogo comune smentito dagli studi. A seguito delle invasioni barbariche, in effetti, gli avamposti militari e alcuni centri di frontiera vennero saccheggiati e distrutti, ma questo è sempre successo in occasione di ogni guerra. La quasi totalità delle città romane conquistate dai barbari invece sopravvisse (al massimo cambiò nome) e nuovi centri vennero fondati. L’organizzazione ecclesiastica Anche l’organizzazione ecclesiastica non subì alcuna modifica all’epoca delle invasioni. La Chiesa aveva ricalcato le sue circoscrizioni religiose su quelle amministrative dell’Impero: ogni diocesi corrispondeva sostanzialmente ad una civitas (termine che indica la città romana nel suo insieme di edifici, cittadini, funzioni, servizi). Nei nuovi regni germanici, in Italia, in Gallia, in Spagna, essa conservò il suo carattere municipale, tanto che la parola civitas venne usata per indicare un centro di diocesi. Le città barbariche rimasero dunque centri di attività economiche, e conseguentemente culturali; ospitarono i mercati (lì d’altro canto abitavano i mercanti) e anche le residenze invernali dei grandi proprietari terrieri. Le attività di importazione ed esportazione di mercanzie e derrate mantennero nelle città i loro riferimenti essenziali. La crisi del modello romano La situazione cambiò bruscamente solo nel IX secolo, anche a seguito della conquista, da parte degli Arabi, dell’Africa settentrionale e di Sicilia, Sardegna, Corsica e Spagna meridionale. Per la prima volta nella sua storia, l’Occidente, che aveva sempre vissuto e prosperato proiettandosi nel Mediterraneo, si vide costretto a rinchiudersi in sé stesso. Questo evento contribuì a mutare l’identità stessa del Medioevo europeo. I commerci crollarono, i grandi mercati chiusero, la classe sociale dei mercanti di professione sparì. La base economica dello Stato e anche della società divenne quella terriera: all’economia di scambio si sostituì quella di consumo, la cosiddetta “economia domestica chiusa”, si affermò il sistema feudale e le città, fatalmente, decaddero. Le città carolinge e ottoniane furono dunque private dei due attributi fondamentali della città moderna, cioè la popolazione borghese e l’organizzazione municipale. Solo la presenza in città dei vescovi (veri e propri capi spirituali e temporali), aveva consentito la sopravvivenza del modello urbano come centro organizzativo del territorio, perché tutte le chiese di campagna facevano capo a quella di città, dove era necessario recarsi in occasione di determinate ricorrenze, come le grandi feste, i matrimoni,