Il tributo di Masaccio
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Versione audio: Il tributo è un affresco realizzato tra il 1424 e il 1425 da Masaccio (1401-1428) nella Cappella Brancacci, all’interno della Chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze. Di dimensioni piuttosto ampie (2,55 x 5,98 m) fu eseguito in 32 giornate di lavoro. Fa parte del ciclo sulle Storie di san Pietro. La scena illustra una pagina del Vangelo di Matteo e ricorda quando a Cafarnao, in Galilea, gli esattori della cosiddetta “tassa del tempio” chiesero a Gesù di pagare quanto doveva. Cristo osservò che i figli dei re non sono tenuti a pagare le tasse. Per non dare scandalo, però, ordinò a Pietro di andare in riva al lago di Tiberiade, gettare l’amo per pescare, tirare fuori il pesce che avrebbe abboccato e prendere la grossa moneta d’argento che questo avrebbe avuto in bocca. Pietro ubbidì e con la moneta trovata pagò la tassa. La composizione Il capolavoro masaccesco presenta, in apparenza, una sola scena, unificata dal paesaggio sullo sfondo, che l’osservatore starebbe osservando da uno spazio porticato, indicato dalle due colonne poste alle estremità del dipinto. In realtà, Masaccio ha voluto presentarci contemporaneamente tre momenti di questa celebre pagina evangelica, secondo l’antica consuetudine, di origine medievale, di riunire più episodi in un medesimo contesto. Al centro, circondato dagli apostoli, campeggia Gesù che, imperturbabile, ordina a Pietro di andare a pescare mentre il gabelliere, cioè l’esattore, gli porge una mano chiedendo il pagamento della tassa. In fondo a sinistra, si vede di nuovo Pietro che estrae la moneta dal pesce. In primo piano a destra, troviamo nuovamente Pietro che paga il gabelliere. Quindi, l’apostolo, e primo papa, compare nella scena ben tre volte, e il gabelliere due. Si noti che Masaccio ha scelto di relegare il miracolo in una posizione secondaria, perché tale evento, nella concezione generale dell’opera, ha in sé un’importanza relativa. L’impianto spaziale e la luce L’impostazione generale della scena rimanda alla formella del San Giorgio e il drago realizzata da Donatello per una nicchia di Orsanmichele. Nonostante la mancanza di uno sfondo architettonico e la presenza di un solo edificio sulla destra, sia pure prospetticamente ben definito, l’opera offre una precisa misura dello spazio. Cristo si trova al centro della composizione, in corrispondenza di un ideale asse verticale, e a lui convergono tutte le linee prospettiche della scena. Il gruppo degli apostoli circonda il Maestro formando una esedra idealmente aperta dal gesto di Cristo e poi completata dalla figura del gabelliere che vediamo di schiena. Questo circolo virtuale si espande otticamente fino allo sfondo del paesaggio, verso il quale è attratto lo sguardo, grazie anche all’espediente di alcuni alberi che decrescono in progressione. Anche le aureole dei personaggi sono rappresentate in prospettiva. Tutte le figure sono illuminate da una precisa fonte di luce, coincidente con quella reale della finestra della cappella (posta in alto a destra, rispetto all’affresco); infatti, proiettano le loro ombre verso sinistra. I colori, i chiaroscuri e i volumi I corpi dei personaggi, coperti da panneggi morbidi e ben chiaroscurati, sono costruiti sinteticamente, con ampie campiture, e appaiono massicci e scultorei, come raramente era accaduto nella pittura precedente. L’uso accortissimo degli effetti luminosi, che creano suggestivi riflessi sulle barbe, sui capelli e sui panneggi, accentua la tridimensionalità delle figure. Anche il paesaggio sullo sfondo, deserto e invernale (per quanto fortemente realistico), mette in risalto le robuste anatomie, facendole apparire ancora più maestose. I protagonisti della scena masaccesca sono concepiti come vere e proprie statue dipinte, tipologicamente neoromane. L’arte di Masaccio, infatti, risente non poco dell’influenza degli amici scultori: gli apostoli richiamano scopertamente,