Gli spaccapietre: da Courbet a Salgado, raccontare il lavoro

Arte Svelata - A podcast by Arte Svelata

Versione audio: Gli uomini e le donne che lavorano, per molto tempo, sono stati protagonisti o anche solo comprimari di importanti opere d’arte: sin dai dipinti rupestri della preistoria, se consideriamo le scene con i cacciatori che si procacciano il cibo. Fu tuttavia dal XIX secolo, con la rivoluzione industriale e l’affermazione del socialismo, che l’attenzione nei confronti del lavoro da parte degli artisti si fece più forte e serrata. Grandi pittori realisti come Gustave Courbet (1819-1877), pittore ribelle e anticonformista, dedicarono ai lavoratori opere intense e dalla carica fortemente contestataria. Gli spaccapietre La raffigurazione del “vero” rimase sempre un elemento significativo, anzi qualificante della pittura di Courbet, che rifiutando i modelli formali del classicismo accademico non volle mai discriminare i soggetti in base alla loro (presunta) maggiore o minore dignità. Fu per questo che dedicò a due sconosciuti operai di una cava di pietre uno dei suoi più intensi e toccanti capolavori: Gli spaccapietre. Questo quadro fu dipinto da Courbet nel 1849, cioè un anno dopo la pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels. Non abbiamo alcuna prova che ci sia una relazione diretta fra il quadro e lo scritto, e probabilmente non c’è; è certo, però, che entrambe le opere, quella artistica e quella filosofica, furono il frutto di un comune sentire. Courbet non poteva ancora essere comunista ma certamente era un socialista, come egli stesso ebbe a dichiarare: «Mi si domanda una professione di fede. Dopo trent’anni di vita pubblica rivoluzionaria socialista, non ho saputo far comprendere le mie idee? […] Mi sono costantemente occupato della questione sociale e delle filosofie che vi si riferiscono». Courbet aveva sempre avuto a cuore la condizione dei diseredati, dei contadini, dei sottoproletari e questo dipinto è certamente una delle sue prove più convinte. Soggetto del quadro è infatti una coppia di spaccapietre. Il lavoro dello spaccapietre era, tra i mestieri onesti, forse il più umile, faticoso e degradante. Equivalente a quello del minatore ma all’aria aperta, consisteva nello spaccare pietre, nelle cave, con mazze e martelli fino a ridurle alla dimensione di ciottoli. Si lavorava per 11-13 ore al giorno, nei mesi estivi sotto il sole, d’inverno con il freddo e le gelate. Tutti gli spaccapietre avevano mani callose e deformate, gambe storte e rigide, schiena curvata, occhi malati per la polvere e le schegge. Vivevano in abitazioni precarie, senza acqua potabile e servizi igienici, sfruttati dai procacciatori di lavoro con una paga che consentiva loro a mala pena di sopravvivere. La durezza del lavoro Un uomo e un ragazzo sono concentrati sul loro duro lavoro. Il più anziano è piegato su un ginocchio ed è mostrato di profilo. L’altro, più giovane, è intento a sollevare una gerla di pietre e viene raffigurato di spalle. Entrambi stanno guardando solo i sassi e non alzano lo sguardo; per quel poco che si vede, i loro volti sono inespressivi. Se ne ricava l’impressione di un abbrutimento psicologico oltre che materiale. Ogni dettaglio, anche se degradante, è raffigurato con assoluta precisione, con intento quasi documentario: le toppe sulle maniche della camicia, lo strappo del panciotto, le calze bucate, gli zoccoli consumati dell’adulto; la camicia a brandelli del ragazzo; gli strumenti di lavoro, le gerle, la pala e i picconi, la pentola con il pane. Il paesaggio è spoglio, essenziale e scuro, per mettere in evidenza i due protagonisti. I colori terrosi contribuiscono a comunicare un senso di tristezza e di povertà. Una nuova arte socialista Le due figure degli spaccapietre furono salutate dal politico ed economista francese Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865) come il primo esempio della nuova arte socialista. Indubbiamente, questo capolavoro di Courbet è un violento atto d’accusa. L’artista è brutale,