Chagall e Nietzsche
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Versione audio: Marc Chagall (1887-1985), il cui nome ebraico era Moishe Segal, è stato un pittore russo naturalizzato francese, autore di scene romantiche e da sogno. Fu esponente della cosiddetta École de Paris o Scuola di Parigi. Gli studiosi vi raggruppano alcuni artisti stranieri attivi a Parigi tra il 1910 e il 1940, che non è facile collocare in veri e propri movimenti, ma che sono legati all’esperienza espressionista. Tra questi si distinguono Chagall e Modigliani. Come una favola La pittura di Chagall raffigura il mondo dei sogni ed è caratterizzata da una fortissima vena poetica. L’artista spiegò che la pittura gli era necessaria come il pane, gli sembrava come una finestra da cui avrebbe potuto fuggire. Nei suoi originalissimi dipinti, egli affrontò sempre tematiche legate all’amore coniugale, alla famiglia, alla struggente nostalgia per la sua infanzia e per il suo paese. Spesso si ispirò alle favole di quando era bambino. I suoi personaggi (giovani fidanzati, sposi immersi in mondi fantastici, animali simbolici, saltimbanchi e suonatori) sembrano tutti fatati, volano in cielo, sui tetti delle case come palloncini, leggeri, felici, senza preoccupazioni. È soprattutto alla moglie Bella, l’amore di tutta la vita, la sua musa ispiratrice, che Chagall dedicò i dipinti più teneri e toccanti. Persi nel blu Marc Chagall è stato il pittore dell’amore ma soprattutto il pittore del volo. Resi leggeri dalla loro capacità di amare, i personaggi dei suoi dipinti vengono letteralmente sospinti verso intensi cieli blu e in essi si librano. Vestiti di bianco (colore della purezza), sospinti da un soffio magico e invisibile, gli uomini e le donne di Chagall volteggiano nel cielo blu sorvolando paesi e città, superando distese di cupole o di tetti addormentati, non di rado mostrati con le gambe divaricate, simili a ballerini o saltimbanchi. Il mondo che Chagall raffigura è, nel vero senso del termine, un mondo rovesciato se non addirittura sottosopra. «Molti hanno fatto dell’umorismo sui miei dipinti», scrisse l’artista. «Non ho fatto niente per evitare quelle critiche. Al contrario. Sorridevo – tristemente, certo – della meschinità dei miei giudici. Ma avevo, malgrado tutto, dato un senso alla mia vita». Nietzsche: abbandonarsi alla vita Nella sua arte del sottosopra, così illogicamente liberata e liberatoria, si colgono echi del pensiero di Friedrich Nietzsche (1844-1900), il grande filosofo tedesco. Per ognuno di noi, il dolore prende forme diverse. Passiamo la nostra vita a pensarci, a parlarne, a studiarlo. Forse però sbagliamo a concentrare tutte le nostre forze nella comprensione e schematizzazione del nostro dolore. È quanto sostiene Nietzsche, per il quale è inutile e completamente sbagliato cercare di comprendere la vita secondo i criteri razionali che la tradizione metafisica e filosofica ci ha tramandato. Essa, secondo il filosofo, non è un meccanismo, una rigida sequenza di cause ed effetti. L’unico modo per reagire alla dolorosissima presa di coscienza che la vita non ha senso, né tantomeno uno scopo, è abbandonarsi in toto alla vita medesima, con un coraggioso “dire di sì”. È l’accettazione stessa dell’esistenza, non come sopportazione dolorosa ma come accettazione gioiosa. Ed è ciò che, secondo quanto Nietzsche elabora in una prima fase del suo pensiero, avviene all’interno dello spirito umano. Lo Spirito Dionisiaco (la risposta al senso tragico della vita) s’identifica con l’amore per la vita, che è forza creatrice, istinto, sensualità, passione, irrazionalità, e si contrappone allo Spirito Apollineo, che invece vive nella tranquillità di un sogno, in equilibrio e razionalità, reprimendo ogni suo istinto naturale. Il superuomo Secondo la tesi nietzscheana più matura, quella della volontà di potenza, solo il superamento dell’umano può produrre quell’accettazione gioiosa di ciò che i deboli cercano di sfuggire.